L’APPROCCIO PSICOEDUCATIVO E IL TRATTAMENTO DEI PROBLEMI IN ETA’ EVOLUTIVA.
(adattato da : “Autismo, verso una migliore qualità della vita” di Enrico Micheli, ed. Laruffa, 1999)
Questo personaggio è radicato nei miti della cultura greca, si chiama Sisifo. Vediamo bene in quali difficoltà si trova. E quale immenso peso è costretto a sopportare, e con quale disperazione! Alla fatica e al pericolo si aggiunge, a tormentarlo, l’ansia: “come farò? Ce la farò?”.
Qui rappresenta ciascuno di noi davanti a un problema.
E’ utile ricordare a questo punto che questo orribile peso può ben rappresentare non solo l’Autismo o molti altri gravi problemi di sviluppo o di vita in età evolutiva, ma numerosi altri problemi, malattie, condizioni psichiatriche, disabilità, vecchiaia.. qualunque problema che invade la nostra vita e per cui non ci sono soluzioni immediatamente possibili e risolutive. Quindi un peso che è difficilissimo da sollevare e da portare su e che poi rotola sempre giù, al punto di partenza, vanificando i nostri sforzi: sforzi che non possiamo evitare di fare perché il peso si impone sulla nostra vita. E’ vero che le persone colpite da disturbi gravi dello sviluppo direttamente o nei loro più cari affetti vengono rappresentate molto bene da questa figura, perché è caratteristica in questi casi la difficoltà di mantenere nel tempo e conservare le acquisizioni raggiunte, che a volte sembrano perdersi, rotolare a valle. Ci dà una idea di quale condizione deve essere, salire.. portare su, faticare per poi di nuovo piombare in basso. Credo che chiunque abbia a che fare con questo tipo di difficoltà, genitori, operatori, insegnanti , chiunque, si trova in qualche momento ad avere questo tipo di sensazione.
Lettore, se vuoi fare un esercizio, fa una prova: osserva attentamente la figura di Sisifo, e richiama alla mente gli episodi o i momenti in cui hai provato le sensazioni e i sentimenti che osservando la figura rivivono in te.
E’ quindi naturale, per come siamo fatti noi esseri umani, che nel nostro cuore viva la speranza : ci sarà una soluzione, un modo, che ci aiuti finalmente a risolvere il problema definitivamente. Ricordiamo che in questo nostro tempo siamo stati viziati dalla tecnologia, dalla Medicina, dalla scienza; e giornali e TV ogni giorno aggiungono notizie su nuove soluzioni e nuove scoperte; è quindi naturale che questa speranza, questa convinzione, connaturata nell’uomo, non si orienti più verso la divinità o il miracolo, ma spinga a credere nell’esistenza di un farmaco, di una tecnologia, di un metodo riabilitativo, che so, il metodo Teacch, l’ABA, il metodo Tal dei Tali, una dieta speciale, e avremo risultati ....
Abbiamo ben salda l’idea che esista qualcosa che possa farsi carico di questo peso e finalmente risolverlo. Definitivamente. Questa convinzione fa sì che quindi tendiamo a non credere a chi ci dice <<guarda che questa soluzione non c’è >>, perché questo desiderio è talmente profondo...
Ma il fatto che tendiamo a rimanere ancorati a una convinzione che poi è una illusione è anche causato dalla paura. Viviamo un timore che è più che giustificato:
Abbiamo paura che il risultato della situazione sia questo, abbiamo tanta paura che la cosa vada a finire così, che noi rimaniamo schiacciati. La dose di questo timore varia ovviamente a seconda della posizione in cui siamo e delle possibilità che abbiamo di sfuggire alla sofferenza. Certo, chi vive direttamente il problema, genitori, famigliari, la persona colpita, ha più diritto degli altri di temere questo finale: sappiamo anche che, al di là delle difficoltà e dolori della vita, viverli in solitudine, senza che siano dagli altri condivisi, aumenta la disperazione. Questa paura, così come il semplicismo dell’informazione e della formazione degli operatori, fa si che invece sia difficile vedere, sapere e conoscere chela Scienza nelle sue diverse articolazioni e livelli ha studiato, ha trovato modalità per affrontare e dare soluzioni ai problemi di questo tipo.
Questo disegno rappresenta un approccio realistico, razionale, scientifico, ma anche estremamente umano. E’il modello che ha permesso di fare enormi passi avanti nella direzione di dare sollievo a chi è colpito da malattia cronica, malattie per cui non esiste ancora un rimedio, e per tutte quelle condizioni definibili come “problemi complessi”.
Così si può disegnare quello che nel campo psichiatrico in generale è chiamato “approccio psicoeducativo”. Scienza, tecnologia e sapienza vengono applicate con energia a ciò che può essere identificato come problema, risolto con i mezzi attualmente a disposizione; consolidato e mantenuto grazie alla collaborazione esperta di più ruoli e di più persone. Questo è quello che stanno cercando di fare molte persone oggi nel mondo impegnate nel campo della Schizofrenia, della Delinquenza, del Ritardo mentale, dell’Autismo; in molti campi per cui quest’approccio è d’obbligo;. Si può pensare di affrontare alcune parti del problema, aiutarsi l’un l’altro e collaborare allo scopo di sistemare perlomeno alcuni pezzi del problema in modo che ci si senta rassicurati, confortati, aiutati. Le parti del problema che possono essere risolte, possono essere risolte, e lo sono nel momento in cui si mette scienza ed aspetto scientifico, tecnologia e passione, capacità professionali e capacità umane non alla ricerca di una cura illusoria, ma alla ricerca della collaborazione fra uomini. E` chiaro che qualunque tecnica può essere messa al servizio di questo approccio, se funziona, se è scientificamente provata è valida, non importa da quale scuola di pensiero provenga.
2. Proviamo ad approfondire
Uscendo dalla metafora di Sisifo, possiamo quindi dire che esiste oggi un “corpus” di conoscenze scientifiche e di tecniche elaborate negli ambiti più diversi ma che vengono messe al servizio dell’alleviare le conseguenze o del migliorare le condizioni in presenza di problematiche complesse, per le quali non esistono rimedi univoci.
Molte delle condizioni problematiche che affliggono noi umani sono condizioni a origine “multifattoriale”; spesso non se ne conosce la “causa”, non è stato identificato quindi alcun singolo fattore che da solo determina la condizione.Oppure, quando la causa è nota, è impossibile annullarne gli effetti. Quindi non vi è neanche il “rimedio”.
Anche se questa consapevolezza è certamente dolorosa, e non ci esime certo dal continuare ad approfondire la ricerca, può forse aiutare la scoperta che la lotta contro queste condizioni non ci vede affatto disarmati. Anzi, al servizio di questa lotta l’uomo può disporre di molti mezzi, che diventano però utilizzabili proprio quando il problema viene affrontato, a livello cognitivo ed emotivo, in modo realistico.
Questo modo di vedere le cose viene chiamato spesso “approccio psicoeducativo” quando si applica al miglioramento della vita delle persone coinvolte.
Perché?
Questo ostico nome vuole dire che il problema sta nella relazione tra diversi fattori: le abilità delle persone colpite e di chi le cura; l’ambiente fisico e sociale in cui vivono; le risorse materiali ed umane cui possono attingere; la capacità di reggere lo stress, di vivere le emozioni in modo adattivo; l’organizzazione della rete di appoggi, aiuti e interventi tecnici disparati. Per raggiungere il massimo possibile di efficacia di questi fattori, lo strumento principe è l’educazione: una educazione che permette di aumentare abilità, capacità, senso e stima di sé, padronanza e successo in tutte le persone coinvolte. E questa educazione può anche avvalersi, in aggiunta alla naturale spinta educativa di cui l’uomo è portatore come specie e come animale sociale, di strumenti derivati dalla Psicologia : strumenti di valutazione, tecniche di comunicazione , di autocontrollo, di appoggio e sostegno, tecniche di insegnamento sofisticate e strumenti per la coesione sociale, la vita di gruppo e il lavoro di rete.
Quindi, in condizioni per cui un rimedio univoco e certo non esiste, non si rinuncia affatto, ma si punta con chiarezza e decisione al miglioramento della qualità della vita..
Mezzo per raggiungere questo scopo, ma anche valore e scopo in sé, è quell’insieme di abilità che in inglese vengono chiamate “coping skills” , per cui disgraziatamente non abbiamo una parola italiana . Abilità di farcela, abilità di essere in grado di padroneggiare il problema e non farsi sommergere, abilità di trovare soluzioni creative, abilità di aiutarsi e farsi aiutare, abilità di mobilitare le risorse proprie e altrui.
Esiste un concetto greco che si avvicina molto, ed è quello di ”areté” che viene tradotto dai vocabolari come “virtù”, e che nella mentalità greca era proprio la virtù di superare le disgrazie e le difficoltà poste dal fato conoscendo i propri mezzi e i propri limiti di mortali.
Riflettendo su tutto ciò, risulterà evidente che molti dei fraintendimenti e delle difficoltà vissute oggi nel campo della clinica dell’Età Evolutiva in Italia, discussioni e diatribe, rifiuti o accettazioni indiscriminate di metodi o terapie, contrapposizioni tra scuole, tra genitori e tecnici, tra genitori e genitori nascono da un mancato approfondimento di queste tematiche e dei diversi livelli di cura. Discutiamo di metodi come se si trattasse di identificare il rimedio, sperimentiamo rigidamente come se si trattasse di applicare un protocollo farmacologico modelli che invece richiedono di essere attuati con flessibilità, aggiustamento alla cultura locale e in sinergia con altri approcci.
Un altro fraintendimento è quello che ci porta a considerare “umane” le sparate ideologiche, le illusioni, a volte anche vere e proprie ciarlatanerie, perché siamo “scaldati” dalle loro promesse di guarigione, mentre consideriamo “freddo” il pragmatismo dei risultati.
Considero un fatto estremamente ricco di umanità che finalmente siamo oggi in grado di utilizzare nella gestione e nel miglioramento di problemi così devastanti per la vita nostra, quando ne siamo colpiti, tutta la scienza e la sapienza del “management” che finalmente in questi campi non è messa al servizio del profitto economico, ma della speranza di alleviare al meglio i problemi di chi soffre.