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I genitori non hanno causato né meritato in alcun modo il disturbo del loro bambino ma si trovano ben presto in serie difficoltà; sono sconcertati e attoniti per la mancanza di risposta del bambino ai normali messaggi che la mamma gli manda con la voce, il gesto, lo sguardo, che non ottengono risposte adeguate e non vanno a costruire quella conversazione senza parole, quel circolo virtuoso per cui ben prima della comparsa del linguaggio mamma e bambino dialogano.
Quando questo dialogo manca, il bambino è difficilmente regolabile, non comprende le richieste e non sa farne in modi sempre comprensibili. Quindi i genitori si trovano a curare ed amare un bambino che non capiscono del tutto, con il quale interagire non è affatto semplice. Il bambino ha un bell'aspetto sano, ma non condivide azioni ed emozioni con gli altri, se si avvicina ad altri bambini non sa cosa fare con loro, e spesso se ne sta isolato.
I genitori si chiedono se sono loro incapaci o poco abili nell'educare il loro bambino e il disagio e lo sconcerto aumenta.
A questo punto i papà e le mamme hanno probabilmente già cominciato a cercare una spiegazione e prima o poi la incontrano; qualcuno comunica loro che il loro bambino ha un disturbo di sviluppo. Possono incontrare una comunicazione della diagnosi chiara, basata su classificazioni condivise, o accennata, descrittiva (ritardo psicomotorio, problemi relazionali) o basata su classificazioni obsolete o idiosincratiche. Ma il tema della diagnosi, pur rilevante per l'evoluzione del benessere e del funzionamento dell'intera famiglia, non è l'argomento di questo articolo. Quello che vogliamo segnalare è che nella maggior parte dei casi, dopo la diagnosi i genitori cercano una terapia per il bambino. Frequentemente questa viene offerta, spesso in forme abbastanza poco intensive (es., sedute di psicomotricità una o due volte la settimana),, insieme alla possibilità, per i genitori, di qualche incontro con lo psicologo o il neuropsichiatra.
Nonostante questo i genitori, che sono spesso anche soddisfatti per la terapia del bambino,e a volte hanno già "fatto i conti" con la diagnosi, con molta frequenza chiedono aiuto, dicendo che nessuno risponde alla loro richiesta di sapere come fare a casa con il bambino, sia per vivere bene insieme con lui, sia per fare qualcosa anche loro per aiutarlo a superare le sue difficoltà.
Hanno certamente ragione nell'esprimere questa richiesta. L'esperienza di questi ultimi 30 anni nel campo dell'Autismo e Disturbi Pervasivi; tutto il sapere che si accumula sulle cause di queste difficoltà e sul funzionamento dei bambini colpiti; tutto indica che il ruolo dei genitori nell'educazione del bambino è fondamentale e contribuisce per una parte essenziale al miglior esito delle cure rivolte al bambino.
L' effetto dell'informazione e formazione dei genitori non è soltanto diretto, il miglioramento del bambino, ma anche indiretto, il benessere di tutta la famiglia, la diminuzione del rischio di depressione o di altri aspetti negativi per la salute mentale degli adulti; e aumenta inoltre nei genitori la capacità di "durare" in un percorso che, come spesso diciamo ai papà e alle mamme che incontriamo, "non assomiglia ai cento metri piani ma a una maratona"
Come introduzione, vogliamo sottolineare l'idea di "formazione genitori"
Cosa caratterizza questo concetto? Esso è molto diverso dal semplice "informare", "prescrivere", "consigliare" ai genitori di fare questo o quello (e peggio per loro se non lo fanno).
La formazione dei genitori è un lavoro di educazione dei genitori; chi fa formazione si fa carico dell'apprendimento della persona a cui insegna, non butta là una idea lasciando poi che sia il genitore a cavarsela; organizza percorsi, programmi, incontri che hanno lo scopo di cambiare il comportamento dei papà e delle mamme, di renderli abili in un campo in cui prima non lo erano.
Tra i neuropsichiatri infantili o gli psicologi infantili, non tutti sostengono l'idea della formazione genitori. E questo è spesso collegato con l'idea della non opportunità della diagnosi precoce nel campo dell'autismo. Crediamo che queste convinzioni siano basate su un modello dell'autismo che tutti dichiarano superato ma che ancora, più o meno nascosto, alberga nelle credenze e nelle emozioni dei clinici: l'idea che l'autismo deriva da errori nella relazione tra madre e figlio, relazione che potrebbe peggiorare se la mamma ricevesse una notizia di autismo.
Da qui la convinzione che una mamma formata potrebbe smettere di fare la mamma, di nuovo peggiorando la relazione e quindi aggravando le difficoltà di relazione del figlio. Siamo convinti che una formazione genitori fatta bene può evitare quegli aspetti, che non consideriamo positivamente, per cui i genitori diventano terapisti nel senso di mettere il loro tempo con il figlio al servizio del semplice prolungamento delle attività dei terapisti.. I bambini hanno bisogno di un papà e una mamma competenti nello svolgere il loro ruolo di genitori con un bambino difficile.
Schopler (1995, 1997) lega strettamente il trattamento educativo del bambino alla collaborazione con i genitori.
La sua sistematizzazione concettuale di questa collaborazione è folgorante:
Da qui derivano modalità di formazione genitori fortemente connotate dall'elemento "collaborazione" e valorizzazione di ciò che i genitori potevano portare nel processo formativo; particolarmente importante è il rispetto delle priorità dei genitori nella scelta delle mete da raggiungere con il bambino; e l'importanza della relazione tra i genitori come parte del processo di salute e di influenza sulla comunità.
Quasi contemporaneamente Lovaas enfatizza l'insegnamento ai genitori, necessario per poter aver quel carattere intensivo, di 40 ore alla settimana, ritenuto un ingrediente fondamentale per il successo dell'intervento comportamentale.
Si struttura un rapporto gerarchico tra supervisore, che delinea il programma, individua le tecniche da utilizzare, ed esecutori, che sono sia i terapisti diretti sia i genitori. Il supervisore mostra, insegna, i genitori applicano. Questo approccio ha portato alla creazione di manuali che permettono la diffusione di conoscenze sulle tecniche. Questo rappresentava un salto di qualità rispetto alla visione che teneva fuori i genitori dal trattamento. Una riflessione successiva (Helm e Kozloff, 1986) metteva in evidenza il massimo successo di questa modalità nel raggiungimento di singoli obiettivi, specialmente pratici e facilmente organizzabili in una task analysis, come igiene personale, vestirsi, ecc.
I limiti di questo approccio stanno nella difficoltà da parte dei genitori formati in questo modo di mantenere nel tempo le abilità acquisite, estendendole a nuovi problemi. E che quindi, mentre sono alti i risultati su singoli obiettivi, sono scarsi i risultati per la salute mentale e la qualità della vita della famiglia, per la quale invece è vitale ricevere formazione in abilità utili per cavarsela in una situazione difficile di lunga durata..
Oggi (Schreibmann, 2000), il coinvolgimento dei genitori nel trattamento come componente essenziale all'efficacia nell'intervento psicoeducativo è una convinzione largamente condivisa.
Dal 1983 pratichiamo, in molte forme diverse, la formazione dei genitori, sia nel campo specifico dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, sia in quello più generale delle disabilità e dei problemi di comportamento in bambini e ragazzi senza problemi di sviluppo.
In questi 23 anni abbiamo sia imparato dall'esperienza sia studiato alcuni autori che ci hanno molto aiutato: Elizabeth Newson (1982), Schopler; abbiamo poi trovato estremamente utili, fuori dell'ambito delle disabilità di sviluppo, gli studi di Patterson (1982) sulle abilità dei genitori. Questi i principi nati da questo processo.
Al momento della prima conoscenza del bambino, e della valutazione diagnostica, se il bambino è piccolo (circa tra i due e i sei anni) dedichiamo tempo a capire e poi a spiegare ai genitori come il bambino funziona nelle prime interazioni sociali e nella comunicazione. Questo perché queste aree sono parte essenziale del curriculum, e perché quasi sempre i genitori indicano l'assenza di relazione sociale e comunicativa con il bambino come il loro problem principale.
Da qui nasce il training per insegnare ai genitori a promuovere nel bambino attenzione congiunta, emozione congiunta, intenzione congiunta, scambio di turni e ponti verso la comunicazione. I contenuti del lavoro, il gioco per promuovere i correlati comportamentali dell'intersoggettività, sono descritti nel libro "Gioco e interazione sociale reciproca" (Xaiz e Micheli, 2000). I nostri training illustrano praticamente, mostrano e insegnano ai genitori quello che abbiamo presentato nel libro.
In una prima fase, una terapista fa una valutazione estesa delle abilità possedute ed emergenti del bambino, e soprattutto studia e prova le attività di gioco da proporre.
Quindi descrive ai genitori e mostra loro direttamente attraverso lo specchio quello che ha scoperto. Chiede quindi ai genitori di scegliere quello che intendono cominciare a fare a casa con il bambino, dà loro indicazioni utili per avere successo nell'attività che essi hanno scelto. Può anche chiedere alle mamme e ai papà di provare a svolgere qualche gioco con il bambino direttamente al di là dello specchio; la terapista li osserva e poi commenta con loro quello che è successo, rinforzando i loro comportamenti adeguati ed evidenziando le soluzioni efficaci e consiglia gli opportuni cambiamenti. A questo punto i papà e le mamme proveranno a casa. Incontri e contatti telefonici preordinati offrono il necessario monitoraggio e il sostegno emotivo necessario per chi affronta un'attività così difficile. L'incontro successivo potrà portare o a ribadire le stesse cose, riflettendo sulle difficoltà incontrate e studiando modi per aggirarle, o a fissare un nuovo obiettivo.
Il training di gruppo è per forza di cose più strutturato nell' agenda e nei contenuti, anche se non ha un formato standard; la metodologia di fondo si può applicare a training molto diversi per numero di partecipanti, per numero di incontri, per argomenti trattati.
C'è sempre una parte "didattica", che comprende una spiegazione dell'autismo, insegnamenti sulla strutturazione dell'ambiente famigliare in modo da facilitare l'insegnamento e l'apprendimento, lezioni sulle abilità d insegnare ai genitori. Una parte esercitativa, sempre presente nei training, comporta la scelta di mete da raggiungere con il bambino: puntiamo ad aumentare nei genitori l'abilità di scegliere una meta piccola, realistica, immediatamente raggiungibile.
Altra componente per noi irrinunciabile è la libera discussione tra genitori, che commentano le lezioni tra loro, esprimendo opinioni e dubbi. Nei gruppi con più di 5 partecipanti, questa discussione viene svolta in sottogruppi. La divisione in sottogruppi è anche utile quando il training comporta una fase di progettazione dei percorsi necessari per raggiungere obiettivi con i bambini; per questo preferiamo riunire in sottogruppi i genitori che si concentrano su singole aree di intervento educativo (es. tempo libero, autonomia, comunicazione, ecc.)
Sempre anche includiamo un incontro sulle emozioni e i sentimenti provati dai genitori; senza l'espressione di questi, ogni tecnica o impegno educativo potrebbe essere resa vana da emozioni controproducenti..
E' dal lavoro di gruppo che nasce frequentemente nei genitori il desiderio di incontrarsi e di scambiare le loro esperienze anche fuori dal training; da esso può svilupparsi un vero e proprio percorso di "gruppo genitori" che si può occupare anche di scambi di informazioni pratiche, organizzare incontri e gite, aiutare con opportuni contatti i "nuovi arrivati". La nostra convinzione è che i trainers della formazione possono anche mettersi al servizio di questi incontri, ponendo comunque molto chiaro lo scopo, che è quello della salute mentale e di reciproco sostegno e non "sindacale", per il quale già ci sono organizzazioni dei genitori e che, con le sue possibili derive depressive, può contrastare con la salute mentale invece di favorirla.
La nostra pluriennale pratica clinica ci ha mostrato come il trattamento precoce e intensivo, che comprende anche l'insegnamento ai genitori degli speciali accorgimenti necessari perché i bambini imparino ciò che possono imparare cambia i bambini, la loro vita e quella dei famigliari. I genitori si sentono, on il nostro aiuto, capaci di aiutare il loro bimbo in difficoltà; in quanto genitori di un bambino speciale possono sentirsi fieri di fare il meglio possibile ottenendo anche dei risultati insperati. Ci chiediamo perché, pur essendo così chiaro dal punto di vista concettuale, così ben esplicitato dagli esperti più eminenti del campo, che hanno sostenuto la necessità della formazione genitori come parte integrante dell'intervento efficace, questa sia così poco diffusa. Anche la formazione degli operatori non ha dato i risultati che speravamo; solo poche persone in pochi centri sono diventati sufficientemente abili nell' aiutare i genitori con insegnamenti pratici, adatti alle caratteristiche e possibilità dei genitori stessi, al di là del sostegno psicologico e di consigli impartiti. Le ragioni possono essere:
Siamo convinti che lo studio e la costruzione continua di esperienza con l'approccio psicoeducativo, nello stile che l'operatore trova più congeniale, e nel confronto costante tra questo stile scelto e i risultati e i punti di forza di altri stili, nell' umile e continua verifica dei risultati, può portare a efficaci modalità di collaborazione tra professionisti e genitori, tra le quali anche modalità positive ed efficaci di formazione dei genitori. Siamo convinti che un ingrediente fondamentale per arrivare a ciò sia per il professionista una autentica capacità di "con-passione": soffrire e gioire insieme ai papà e alle mamme di bambini così difficili ma anche davvero speciali quando riusciamo a insegnare loro quello che possono imparare.