- introduzione
- 1. La prima confusione:le differenze epistemologiche
- 2. Confusioni all'interno del gruppo degli interventi psicoeducativi
- 3. Differenze di "scuola" all'interno degli approcci
psicoeducativi
- 4. L'intervento psicoeducativo moderno
- 5. La realtà dell'intervento psicoeducativo oggi
in Italia
- 6. Conclusioni
- 7. Bibliografia
Le interessanti e utili differenze di "scuola" all'interno degli approcci psicoeducativi sono oggi componibili in una nuova sintesi.
Mentre le confusioni e le contrapposizioni che ignorano la gerarchia dei livelli logici producono o rivelano patologia nel sistema, e quindi ritardano lo sviluppo di servizi e interventi efficaci per i bambini autistici, all'interno del campo degli interventi psicoeducativi esistono reali differenze. All'interno della comune, generale filosofia sopra descritta, sono stati costruiti, sperimentati, descritti, diversi modelli di intervento. Queste differenze sono euristiche, nel senso che hanno contribuito e contribuiscono allo sviluppo di sempre migliori risposte. Hanno portato a una nuova sintesi di livello più alto che nasce dai dati prodotti dalla sperimentazione di questi diversi modi di lavorare.
Queste differenze esistono, all'interno di una filosofia psicoeducativa comune, a tutti i livelli gerarchici. Scelgo di provare a illustrare queste differenze presentando alcune dimensioni lungo le quali si possono riscontrare queste differenze.
Alcuni aspetti del complesso intervento psicoeducativo possono essere dotati di una finalità specifica, particolare, sono cioè pensati o indirizzati per risolvere uno specifico problema, per insegnare abilità all'interno di una area specifica; spesso questi aspetti sono specifici per l'area cui si indirizzano ma aspecifici per quanto riguarda il tipo di patologia delle persone nel cui vantaggio possono essere applicati; per esempio le strategie, le tecniche e gli strumenti di Comunicazione Aumentativa si indirizzano all'area Comunicazione per persone colpite da diversissime patologie, così come la Tecnica di Azrin e Foxx per il toilet training (Foxx, 1996). Chi si applica per studiare e migliorare aspetti specifici del lavoro psicoeducativo svolge un utilissimo servizio, dando efficaci metodi, strategie, tecniche e strumenti a chi si occupa dell'approccio generale; al contrario, solo una visione generale del problema Autismo di un bambino rende utili gli strumenti e le tecniche elaborate all'interno di un singolo aspetto. Strategie, tecniche e strumenti di Comunicazione aumentativa; strategie, tecniche e strumenti per aiutare lo sviluppo e la comparsa di interazioni sociali reciproche; strategie, tecniche e strumenti per l'attivazione emotiva; strategie, tecniche e strumenti per lo sviluppo del linguaggio e per lo sviluppo cognitivo o sociocognitivo sono esempi dello sviluppo di un'area di insegnamento (Jordan e Powell, 1997; Xaiz e Micheli, 2001; Micheli e Zacchini, 2001; Watson e al., 1997). All'altro polo, ci sono gli specialisti degli interventi "comprehensive", che si occupano di tutte le aree (autonomia, abilità sociali, linguaggio, comunicazione, tempo libero, comportamenti problema, ecc), affrontate con un progetto generale sul singolo E' evidente che un intervento non può che essere un prendersi cura di tutto il bambino, con scelte di priorità; un intelligente percorso probabilmente attingerà ai contributi settoriali per le aree rilevanti. Schopler e colleghi, per esempio, propongono da sempre l'uso di strategie, tecniche e strumenti di Comunicazione aumentativa nei casi in cui il linguaggio parlato non compare o compare in misura insufficiente a una comunicazione di successo. (Watson e al., 1997).
Quali abilità insegno? Con quale progressione? Con una progressione di abilità che io decido essere utile per ridurre le difficoltà del bambino e per aiutarlo a comportarsi in modo più autonomo, più socievole, più comunicativo, o con una progressione di abilità che in qualche modo ripercorre le tappe dello sviluppo normale? Per cominciare a lavorare, devo o no capire a che punto dello sviluppo si trova il bambino? Per esempio, molti operatori che si riferiscono all' "Applied Behavior Analysis" (ABA), privilegiano una scelta funzionale, proponendo curricula indipendenti dalle tappe di sviluppo normale; gli operatori della Division Teacch propugnano una linea di sviluppo per i bambini e funzionale per adolescenti e adulti. Naturalmente poi ogni singolo operatore con ogni singolo bambino sceglierà un percorso unico e individuale, che sarà una sintesi delle due linee (per esempio, potrò scegliere un curriculum di sviluppo per insegnare abilità cognitive, e un curriculum funzionale per insegnare l'uso autonomo del gabinetto).
Un'altra dimensione su cui si riscontrano differenze di stile, di enfasi, di comportamento, tra operatori di diverse "scuole" psicoeducative è quella tra "obiettivo normalità" e "obiettivo qualità della vita". Il normalizzatore estremista, per capirci, potrebbe dedicare tutti i suoi sforzi ad insegnare comportamenti normalizzanti, anche se questo comporta lunghi anni di pessima qualità della vita, e il raggiungimento del comportamento normale non è garantito; l'estremista della qualità della vita potrebbe al contrario dedicare tutti i suoi sforzi a modificare l'ambiente perché la persona con le sue differenze possa viver in esso in mood soddisfacente. In realtà, ogni scuola psicoeducativa si porrà qualche punto intermedio tra questi estremi teorici, anche se Lovaas per esempio (1990) è molto vicino all'idea di normalizzazione, Schopler e collaboratori (1997), al rispetto delle particolarità e del diverso modo di funzionare delle persone con Autismo.
Nell'educazione con modalità direttive, la decisione dei contenuti e dei modi delle attività è totalmente dell'operatore che dirige il lavoro, senza indulgere a richieste o interessi della persona con cui lavora, se non nella ricerca di ricompense che possano funzionare da rinforzo. Ogni interesse mostrato dal bambino per cose diverse dall'oggetto di quel singolo insegnamento va estinto, non incoraggiato né seguito. Gli interessi del bambino non hanno rilevanza neanche per la scelta delle priorità o delle attività. Altre "scuole" psicoeducative invece considerano importante l'attenzione verso gli interessi del bambino, considerano importante svolgere anche attività che pur essendo utili per lo sviluppo e l'apprendimento, usano oggetti o compiono azioni che vengono scelte dal bambino. Questa attenzione per gli interessi e le scelte del bambino può portare a una maggiore generalizzazione e maggiore mantenimento; così come l'uso del gioco spontaneo, della comunicazione spontanea, il seguire le richieste e le mosse del bambino da usare poi per insegnare le abilità che possono nascere dal contesto che ne deriva. Xaiz e Micheli hanno proposto (2001), per l'insegnamento delle abilità di interazione sociale reciproca, un modo di insegnare che rappresenta una sintesi tra i due estremi che valorizza molto gli aspetti interattivi.
Da una parte, si punta al completo controllo della situazione di apprendimento, privilegiando quindi situazioni che si avvicinano al laboratorio per chiarezza e struttura. La modalità di educazione chiamata "Discrete Trials Format" (Lovaas, 1997) privilegia quindi tempi, luoghi, situazioni stimolo, ricompense artificiali; pensando poi alla generalizzazione dopo che gli apprendimenti sono stati acquisiti in situazioni artificiali, con il trasferimento e il nuovo apprendimento in situazioni naturali. Un esempio è il lavoro sul linguaggio dominato dalla richiesta di dire nomi di oggetti o azioni visti in figure. L'altro versante privilegia al contrario, pur continuando ad avere un sufficiente controllo della situazione di apprendimento, luoghi, stimoli, ricompense naturali. (Koegel e al., 1987) Per esempio, per la comunicazione si preferisce organizzare situazioni naturali che permettano al bambino di emettere atti comunicativi che saranno ricompensati dal successo comunicativo stesso. (Watson e al. 1997).
Da un lato abbiamo l'identificazione di comportamenti bersaglio in ogni comportamento un po' anormale, anche se non pericoloso e non particolarmente interferente; si sceglie di confrontarsi con i manierismi motori o stereotipie da subito in modo deciso, usando ampiamente strategie aversive, anche se normalmente scelte in modo da non violare eccessivamente i diritti delle persone; dall'altro lato c'è la convinzione che i comportamenti problema rivestano una funzione comunicativa (Carr,1998), e rivelino comunque deficit e difficoltà a vivere in un mondo difficile da comprendere e da "leggere" (Schopler, 1998). Questo porta a un atteggiamento che, per la riduzione dei comportamenti problema, preferisce facilitare la vita alla persona autistica con apposita strutturazione degli ambienti, degli spazi, dei tempi. E con l' identificazione accurata delle capacità possedute e richieste proporzionate alle capacità. In questo modo i comportamenti problema diventano meno probabili, quindi è possibile insegnare quelle abilità che poi li renderanno meno necessari, e renderanno possibile una minor strutturazione dell'ambiente. (Schopler, autismo in famiglia).
Da una parte si privilegia e si mette enfasi sull'apprendimento di comportamenti nuovi e sull'estinzione dei comportamenti bersaglio mediante la gestione delle conseguenze; dall'altra al primo posto c'è lo studio delle caratteristiche di funzionamento del bambino, in modo da organizzare quegli antecedenti (l'organizzazione dello spazio, del tempo, dei compiti, i modi in cui vengono fatte le richieste) che facilitano la comparsa dei comportamenti richiesti, e che permettano l'emergere di comportamenti atti all'apprendimento spontaneo, con conseguenze naturali tra cui il successo.
La convinzione della normalizzazione, la preferenza per percorsi artificiali, la necessità quindi, per ottenere significativi cambiamenti del comportamento in situazione naturale, di un intensivo programma di insegnamento; la preferenza per un curriculum deciso dal terapista secondo percorsi di analisi del compito piuttosto che di valutazione dello sviluppo e della priorità di un singolo individuo, fanno si che l'"arruolamento" dei genitori in qualità di coterapisti avvenga in modo unidirezionale, con il terapista che trasmette ai genitori cosa e come fare, e poi chiede alla famiglia un intervento di lunghe ore giornaliere, con elevato sacrificio economico o di tempo. La convinzione al contrario dell'esistenza di modalità di trattamento più basate sull'espansione delle abilità già possedute, la possibilità di raggiungere obiettivi significativi per la persona con modi e strategie diverse, porta all'altro estremo a un atteggiamento di ascolto delle caratteristiche, bisogni, aspettative della famiglia e a una programmazione flessibile dell'intervento (Helm e Kozloff, 1986, Marcus e al., 1997).
Abbiamo anche differenze nell'individuazione del cosa insegnare: una posizione porta a considerare importante soprattutto la scelta di obiettivi basati su una analisi del compito adeguata, e quindi possa portare a concatenamenti di abilità, acquisite per condizionamento operante, in catene significative: definiti obiettivi adeguati, anche se oggi molto lontani, l'importante è insegnare oggi il pezzo che gerarchicamente permette poi di insegnare il secondo pezzo e così via; un'altra posizione ritiene invece essenziale scoprire, sia nella programmazione funzionale sia in quella basata sullo sviluppo, quali abilità sono padroneggiate dalla persona e quali siano emergenti, cioè posseduti in modo parziale, con elevata possibilità di apprendimento. Le scelte di programma privilegeranno quindi l'esercizio di abilità possedute nel modo più largo possibile, e l'insegnamento di abilità emergenti. Nel frattempo, si porta la persona a una vita e attività autonoma compensando le abilità non possedute con protesi o facilitazioni.
Ogni intervento psicoeducativo quindi si posizionerà in un suo modo peculiare in queste dimensioni, acquisendo così un particolare stile; ogni intervento quindi finirà con essere soprattutto efficace con un tipo di bambino piuttosto che un altro, e nell'affrontare alcuni problemi piuttosto che altri.
E' chiaro che la scelta delle posizioni da assumere su queste dimensioni dipenderà da diversi fattori: la formazione, lo stile, il carattere, le risorse, dell'organizzazione e degli operatori che ne fanno parte. E sotto molti aspetti, avremo risultati molto buoni da ognuna di queste "scuole".
La novità degli anni 2000 è la possibilità di chiedere agli operatori di andare oltre alla dichiarazione "faccio così perché questo è il mio metodo". Intanto oggi sappiamo bene che, date le enormi differenze tra bambino e bambino, non esiste un metodo di cura valido per tutti.
Un operatore ha quindi il compito di adattare il suo modo di fare alle necessità del bambino che ha davanti.
Oggi le nostre conoscenze sono maggiori di venti o trenta anni fa, quando le varie "scuole" sono nate e si sono sviluppate. Abbiamo conoscenze che ci indicano quali fattori rendono efficace l'intervento psicoeducativo. L'individuazione di questi fattori porta ad alcune raccomandazioni,.(vedi tab.2) che vanno a comporre una "nuova sintesi".
Anche recenti rassegne sulle abilità sociali, sulla comunicazione, e altre pubblicate sulle riviste scientifiche del settore negli ultimi 4 anni (Schreibmann, 2000; Koegel L.K, 2000, Rogers, 2000; Dawson e Watling, 2000; McConnel, 2002, Horner e al, 2002, Goldstein 2002) indicano che le nostre conoscenze sono progredite, che ognuno dei filoni più radicali comparsi all'interno dell'approccio psicoeducativo si è trovato, rispettando il vincolo del metodo scientifico, a criticare alcuni aspetti che si sono dimostrati sbagliati o non particolarmente produttivi, e ha accolto al contrario le strategie, le tecniche, gli strumenti dimostratisi validi ed efficaci creati da altri.Alcune affermazioni troppo ottimiste sono state smussate, alcune scoperte sono state ridimensionate. Oggi abbiamo una nuova serie di standard con cui valutare la qualità del nostro intervento psicoeducativo.